L'isola e il tempo by Claudia Lanteri

L'isola e il tempo by Claudia Lanteri

autore:Claudia Lanteri [Lanteri, Claudia]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2024-03-22T12:00:00+00:00


19.

L’ospite

– Questo dove lo mettiamo?

Sulla Matta dei carabinieri mia madre Angelina non ci è voluta salire, ha preferito farsela a piedi dalla caserma, persuasa che la macchina indebolisse le gambe e lo spirito, e nessuno glielo levava dalla testa. E poi non c’era posto. Il maresciallo aveva insistito a far portare cosí tanta roba che per un’ora buona non si è vista la piú piccola traccia di galline, tanto era il traffico davanti l’aia.

– Dove lo mettiamo il materasso? – ripete Coccia rivolto a me.

Lo guardo non sapendo che dire, chi l’ha visto mai, un materasso? Dato che non rispondo, l’appuntato fa di testa sua piazzandolo sotto la finestra: proprio il posto dove col caldo preferivo dormire io. Figurati se non finiva cosí.

Non so piú quanti ne scarichiamo, mille, seimila: i pacchi ricoprono metà della parete, cosí ricolmi di cantalupi, maccheroni, pomodori e sacchetti di farina che le sedie per poco non si scafàzzano. La stanza è una distesa di cesti, borse e involti di carta paglia. L’appuntato si asciuga la fronte, fa gestacci verso l’otre dell’acqua finché non gli verso da bere. Appena abbiamo finito di scaricare quasi tutto, spunta mio padre.

– Ma di chi è nipote, questa, del vescovo di Palermo?

Cosí tanto cibo lo lascia senza fiato, si aggira per la stanza come un orbo con le lenti offuscate, attento a non schiacciare col piede la piú piccola scatola di pasta nella sua ricognizione. Conoscendolo, starà studiando qualche imbroglio per far rimanere con noi la picciridda almeno fino alla maggiore età, se la pacchia è questa. Mi domando se la dobbiamo restituire, se qualcuno ci verrà a chiedere il conto per tutta questa roba, quando sarà partita.

All’ultimo scatolone, Coccia va a stringere la mano a mio padre, neppure se l’aiuto gliel’avesse dato lui. Mio padre ricambia la stretta e si raccomanda di portare i suoi ringraziamenti al signor maresciallo, e di stare certo che alla picciridda non mancherà nulla. L’appuntato non ha fatto tre passi che già quello allunga la mano su un pomodoro polposo. Nel frattempo è sbucata anche mia madre, nello scialle, dal mezzo della nuvola di polvere che la Matta in retromarcia ha sollevato. Entra in casa e vede mio padre, la bocca piena, i sughi del pomodoro che scolano ai lati della faccia, sulla camicia aperta, sul petto. Gli posa addosso gli occhi che glieli vorrebbe scippare.

– Il mangiare è della picciridda, che stai facendo?

Lui per tutta risposta si siede a capotavola, avvicina la mano alla cassetta, lento come i bavaluci. Afferra un altro frutto, affonda i denti e schizzano intorno i semi, come girandole che allumano il cielo quando è la festa della Stella Maris. Butta in terra la restante parte, allunga ancora il braccio, si mangia un altro mezzo pomodoro, poi ancora mezzo, e mezzo, e mezzo ancora. Mia madre vorrebbe dire qualcosa ma lo lascia sbattere: si stancherà come sempre da solo di farle fare abbíli.

Esce fuori, dal lato dell’orto, senza lasciarsi guastare il sorriso. Non le pare vero che il maresciallo le ha dato un onore cosí grande, di dare ospitalità a questa povera sopravvissuta.



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